Alter ego replicanti. Ecco come l’intelligenza artificiale rischia di sostituire (in tutto) l’uomo
Microsoft e Sony hanno brevettato dei software in grado di riprodurre il comportamento di singoli individui in particolari ambiti del digitale, come giocare ai videogiochi o rispondere a email e chat. Un progresso pericoloso che potrebbe rendere le macchine, come è successo in ambito meccanico, in grado di compiere prima il lavoro di due uomini, poi di quattro, poi di quaranta e poi di migliaia.
La possibilità di creare una replica di noi stessi è sempre stata una possibilità affascinante. Oggi potrebbe essere una realtà. Non è un caso che, nel giro di poche settimane l’uno dall’altro, due colossi dell’informatica – e sempre di più dell’intelligenza artificiale – hanno chiesto di brevettare dei software il cui obiettivo è costruire delle repliche di esseri umani. Ovviamente non ancora dei corpi indistinguibili, ma delle intelligenze artificiali in grado di imitare le nostre azioni e il nostro linguaggio sulla rete. Spaventoso o affascinante? Direi entrambe le cose.
Vediamo il caso concreto: Microsoft e Sony hanno brevettato dei software in grado di replicare il comportamento di singoli individui in particolari ambiti del digitale. Per esempio, giocando ai videogiochi o rispondendo alle email o alle chat. Le loro app, fra qualche anno, ci potranno sostituire nel mondo virtuale.
Ma torniamo al caso più ludico: la Sony e i videogiochi. Immaginiamo che state giocando a World of Warcraft o Fortnite, sono passate ore, altri impegni richiedono la vostra presenza… non vi piacerebbe andare a mangiare? Rispondere al telefono? Parlare un po’ con i familiari? Finire quel compito a casa? Nessun problema. Il vostro alter ego della Sony prenderà in mano la situazione e continuerà a giocare al vostro posto al vostro livello di abilità senza che nessuno se ne accorga.
Passiamo adesso alla proposta della Microsoft, ancora più ambiziosa. Quanto tempo perdete sui social? Rispondendo a email, Whatsapp, Messenger e Telegram. Molto di quello che fate non è altro che una forma di social grooming. La rete vi ha trasformato in una specie di Tamagotchi (ve lo ricordate?). L’alter ego digitale della Microsoft farebbe al caso vostro: vi potrà sostituire in questi scambi noiosi, replicando il vostro stile di conversazione alla perfezione.
Ma questo è solo l’inizio, l’obiettivo di queste tecnologie è di riuscire a creare degli alter ego che possano sostituirci quando siamo impegnati oppure, e qui la cosa si tinge di sfumature sinistre, quando non ci saremo più. Già ora la Microsoft ha proposto di creare delle copie virtuali di persone defunte. Vi ricordate la puntata del 2018 di Black Mirror “Torna da me”? Ecco, ci siamo quasi.
Ormai il confine tra naturale e artificiale è sempre meno evidente. In che cosa un agente artificiale che si comporta come noi sarebbe effettivamente diverso da noi? Forse perché gli attribuiamo un anima o delle emozioni? Ma chi crede ancora all’anima? E le emozioni, in fondo, sono qualcosa che hanno anche gli animali e che si può replicare nello stile di comportamento.
Certo, la domanda del secolo è quando un’emozione è una vera emozione, quando una macchina o un organismo provano veramente qualcosa. Nel cinema oggi continuiamo a porci questa domanda in infiniti film (dal capostipite di tutti i film sull’intelligenza artificiale, “2001 Odissea nello spazio” di Kubrik fino ai recenti “Lei” di Spike Jonze, con il bravissimo Joaquin Phoenix, o “Ex Machina”, o “Alien- Prometheus” e tantissimo altri. La frontiera ultima è dentro di noi, in fondo.
Senza volare troppo in alto, le nuovi applicazioni di Sony e Microsoft ci mettono di fronte, in pratica, a conseguenze pratiche immediate sul campo lavorativo. Immaginiamo che qualcuno mi possa sostituire al lavoro nelle mie mansioni più semplici (all’inizio). All’inizio potrei pensare che è una grande trovata. Posso mandare il mio sostituto al lavoro e fare quello che ho sempre desiderato – leggere, finire tutte le serie di Netflix, passare la giornata in palestra. Ma è subito chiaro che questa possibilità ha un lato imprevisto. Se questa intelligenza artificiale potesse sostituirmi, perché il mio datore di lavoro dovrebbe pagare me invece che mettere al mio posto il mio alterego.
Vi sembra impossibile? Pensate alla traduzioni automatiche che, nel giro di qualche anno, hanno raggiunto un livello più che accettabile per la maggior parte degli ambiti professionali (certo, se dovete tradurre Musil, cercate ancora un essere umano … ma per un manuale di istruzioni?). Pensate ai software in grado di generare testo, rapporti completi e persino strutturare una completa relazione che riassume.
Vi ricordate qualche anno fa, quando si parlava del paperless office? Ovvero l’ufficio senza carta? Ricordiamoci che la carta è, storicamente, l’interfaccia tra gli esseri umani, è il supporto fisico che ha mediato lo scambio di informazioni e decisioni tra individui. Eliminata la carta, il passo successivo è l’eliminazione degli esseri umani. E quindi oggi molte realtà stanno considerando la possibilità dello humanless office, ovvero l’ufficio senza esseri umani.
Una volta le macchine negli uffici servivano a mettere in relazione gli esseri umani e potenziarli. Sempre di più si assiste a un curioso cambio di ruolo. Oggi sono gli esseri umani che servono a mettere le macchine in relazione tra di loro e a potenziarle. In larga misura, le macchine hanno bisogno degli esseri umani per poter accedere al mondo e noi, come un esercito di Oompa Loompa (Willi Wonka ©), stiamo lavorando alacremente per metterle in condizioni di sostituirci sia sul lavoro (Microsoft) che nel mondo dei videogame (Sony).
Concludo con un’altra preoccupante considerazione che dovrebbe farci riflettere. L’intelligenza artificiale continua a migliorare le proprie prestazioni. Il livello umano non ha alcuna importanza. Quando le macchine lo avranno raggiunto, continueranno a progredire. Noi abbiamo un limite, definito dal nostro patrimonio genetico e dalle circostanze che hanno determinato la comparsa della nostra specie. Ma le macchine non hanno motivo di fermarsi al nostro livello.
La stessa cosa è successa in ambito meccanico. Nella rivoluzione industriale, il giorno che un macchina è stata in grado di compiere il lavoro di un uomo, è diventata immediatamente in grado di compiere il lavoro di due, e poi quattro, e poi quaranta, e poi migliaia, fino a sostituire quasi completamente gli esseri umani nelle mansioni manuali. La stessa cosa sta per avvenire nell’ambito che noi pensavamo, con molta arroganza e ingenuità, fosse solo una nostra prerogativa: l’ambito del pensiero. Il giorno che una macchina penserà come noi, sappiate che sarà il giorno prima di quando le macchine penseranno meglio di noi.
Non a caso, qualche giorno fa, secondo il premio Nobel Daniel Kahneman in una intervista pubblicata dal Guardian, la battaglia tra intelligenza artificiale ed esseri umani è già vinta in partenza. Secondo Kahenman, che ha vinto il premio Nobel per i suoi studi sull’intelligenza, noi esseri umani non siamo nemmeno vicini alle possibilità delle macchine. Siamo una tecnologia superata. Il giorno che ci sarà un alterego sarà anche il giorno in cui ci sarà una versione migliore di noi. E questo è un pensiero che dovrebbe farci riflettere.
Riccardo Manzotti
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