Archeologia industriale mineraria in Sicilia

In foto: tegole sulfuris con iscrizione indicante il concessionario della miniera di zolfo provenienti dal territorio agrigentino ( III - IV sec.d.C.)

Lo zolfo in latino sulfur, in arabo suffra ( giallo), era già adoperato dagli antichi popoli, come gli Egiziani, per le sue proprietà terapeutiche e come pigmento per i colori.
Estratto e lavorato sin dall’antichità, così come dimostrano i rinvenimenti archeologici effettuati a Monte Grande, nei pressi di Agrigento, sito minerario risalente all’Età del Bronzo.

I Romani lo utilizzarono anche a scopo bellico, mescolandolo ad altri combustibili, come catrame, resine, bitume, per la creazione di armi incendiarie, che usarono nelle battaglie.
La presenza delle tabulae sulphuris, tegole di terracotta con iscrizioni rovesce bollate per la realizzazione di lingotti di zolfo, rinvenute a Racalmuto, attesta che la Sicilia centro- occidentale era, fra il II e il IV sec. d.C., una fonte produttrice di zolfo.

Gli usi dello zolfo in antichità furono descritti dallo storico romano Plinio il Vecchio, nella sua opera “Naturalis Historia”, infatti viene fatta menzione dell’utilizzo dello zolfo nella medicina, per preparare rimedi ed unguenti; nell’arte tessile; per le cerimonie sacre di purificazione.

I Romani facevano estrarre lo zolfo dalle miniere siciliane, usando schiavi e prigionieri di guerra, destinati a breve vita ed inumane condizioni di lavoro.
L’essere stata, per oltre due secoli, una delle attività più dure, ma più diffuse nella Sicilia, ha fatto della zolfara uno degli argomenti più trattati da poeti: scrittori, romanzieri e cantastorie.

Luigi Pirandello, la cui famiglia gestiva alcune zolfare, nella sua raccolta “ Novelle per un anno”, scrisse sul duro lavoro, soprattutto minorile, nelle novelle “ Il Fumo” e “Ciaula scopre la luna”.
La miniera gestita dalla sua famiglia, che egli chiama “La Cace”, la zolfara grande, è presente nel suo celebre romanzo “I Vecchi e i Giovani”, finito nel 1913.

La Racalmuto di Leonardo Sciascia, terra di zolfare e zolfatai, risuona nella sua produzione letteraria, soprattutto in “Le parrocchie di Regalpetra”.

Infine, i terribili e frequenti incidenti nelle zolfare nel 1951, nelle miniere del bacino di Lercara, vennero documentati dallo scrittore Carlo Levi nell’opera “Le parole sono pietre”.
Le zolfare siciliane erano labirinti oscuri e mefitici, qui si aggiravano spossati dalla fatica sudati e spesso nudi i “ piccoli dannati”di 8-10 anni, “sventurate creature”, che lavoravano per pochi spiccioli al giorno.

Pertanto, non bisogna disperdere la memoria!! Bisogna valorizzare le aree minerarie che rappresentano esempi di archeologia industriale mineraria, ma soprattutto bisogna ricordare ed onorare generazioni di minatori ancor più i ragazzi, i cosiddetti carusi per il loro duro lavoro.

Viviana Caparelli

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