Il miglior maestro è la pratica: breve storia linguistica delle ricette
Negli ultimi anni siamo stati abituati ad assistere spesso alla preparazione di pietanze: molti sono gli esperti che attraverso i media (la TV, i social) propongono esperimenti culinari o piatti tradizionali. I procedimenti per queste preparazioni sono indicati nelle ricette, testi a metà strada tra lo scientifico e il letterario, sia per la loro struttura (vi si trovano infatti dosi, indicazioni e procedure), sia per l’esigenza di raccontare e descrivere efficacemente tutti i passaggi legati all’elaborazione di un piatto (cfr. Catricalà 2004).
Nel Vocabolario Treccani la definizione di ricetta legata all’àmbito culinario si trova nell’ultima accezione della voce:
«Indicazione degli ingredienti, delle dosi e delle modalità di confezione, con cui preparare pietanze, dolci, conserve, bibite e bevande varie, o anche prodotti non alimentari: ricette di cucina; r. per fare la zuppa inglese, per fare il gelato, per un buon minestrone, per la lepre in salmì, per la macedonia di frutta; ricette per liquori; la r. per preparare un cocktail; r. per marmellate; r. per un profumo, per un veleno; r. di facile, di difficile esecuzione, o più brevemente r. facile, difficile».
Da un punto di vista linguistico, quindi, le ricette sono testi regolativi con funzione normativo-prescrittiva: in quanto tali, hanno il compito di fornire tutte le informazioni necessarie alla preparazione prevista in modo essenziale e pertinente, seguendo l’ordine logico dei passaggi e fornendo indicazioni chiare (seppure, molto spesso, i procedimenti possano essere soggetti alle improvvisazioni degli esecutori); in alcuni casi vi si trovano anche aneddoti o storie. Il più delle volte, poi, le ricette sono inserite in apposite raccolte, i ricettari, di cui molto probabilmente ognuno di noi possiede a casa una copia. Ma qual è la loro storia?
Dal Medioevo alla rivoluzione artusiana
I primi ricettari risalgono al Medioevo: si trattava di testi per lo più anonimi, scritti soprattutto in latino e in alcuni casi in volgare, collocabili tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento (cfr. Simone Pregnolato, Cibo medioevale, lingua attuale: il ricettario più antico | Treccani, il portale del sapere); nei libri di spese, poi, si trovavano liste di ingredienti compilate per acquistare quanto serviva nelle cucine (cfr. Frosini 1993 e Chiara Murru, Tra Bengodi e il Palazzo di Arnolfo. La lingua del cibo nel Medioevo | Treccani, il portale del sapere).
Nel periodo rinascimentale la cucina diventò un’arte raffinata e i banchetti si trasformarono in «una festa magnifica», come scriveva Cristoforo Messi Sbugo alla corte degli Estensi (cfr. Veronica Ricotta, Il Rinascimento a tavola: «una festa magnifica» | Treccani, il portale del sapere), mentre nel Settecento si diffuse la moda linguistica francese, tanto che anche la terminologia culinaria finì per “infranciosarsi” (cfr. Marzia Caria, La cucina “infranciosata” del Settecento | Treccani, il portale del sapere).
Un secolo più tardi, nel 1891, uscì la prima delle quattordici edizioni della Scienza in cucina di Pellegrino Artusi, un’opera fondamentale che offrì un modello di lingua culinaria basato sul fiorentino dell’epoca, considerato nella sua ricchezza storica, nel tentativo di difendere l’italiano dalla nomenclatura francesizzante: infatti, «Pellegrino Artusi è il primo a cogliere l’esigenza di una lingua media unitaria anche a tavola» (Monica Alba, «La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene»: una rivoluzione con penna e pentole | Treccani, il portale del sapere) e la Scienza in cucina non fu soltanto «un semplice manuale da consultare, ma un libro da leggere e da assaporare», diventando così «uno dei libri più letti dagli italiani» (Alba 2019, p. 12).
Cosa succede dopo Artusi?
L’importante operazione artusiana non restò senza conseguenze. Già per l’epoca fascista si ricordano due autrici di ricettari, Ada Boni Giaquinto (Il talismano della felicità, 1925 e La cucina romana, 1929) e Amalia Moretti Foggia, più conosciuta come Petronilla, che pubblicò oltre 800 ricette a puntate sulla Domenica del Corriere a partire dal 1928. Dotata di una grande sensibilità linguistica, Petronilla riuscì a veicolare con le sue ricette una cucina semplice e quotidiana, non rivolgendosi a cuochi professionisti, ma alle donne, cioè a coloro che gestivano le attività domestiche, attraverso un tono diretto e colloquiale. Le ricette di Amalia Moretti Foggia «si impongono all’attenzione […] anche per il numero di termini dialettali e stranieri» (Alba 2018, p. 245), poiché si riferiscono a preparazioni di piatti regionali (quali, i fagioli all’uccelletto toscani, la lasagna verdeemiliana, la polenta e osei lombardo-veneta, la pizza napoletana; cfr. Alba 2018, p. 248) e anche di piatti stranieri (ad esempio, il plum cake inglese e il gulash ungherese; cfr. ib.).
In seguito all’unità d’Italia, infatti, e nel corso del Novecento (in particolare, nel secondo dopoguerra) si vede una circolazione comune di lingua e di prodotti, grazie alla nascita e allo sviluppo dell’industria alimentare e del mercato nazionale e internazionale. Si sono diffusi, quindi, su tutto il territorio termini della tradizione gastronomica regionale (quali fontina, grissino, mascarpone, zampone, piadina, amatriciana, caciocavallo, panzerotto…) e si è rafforzata la circolazione dei geosinonimi (famoso è il caso dei dolci fritti di carnevale che hanno nomi diversi in ogni regione: cenci, bugie, galani, crostoli, donzelle, chiacchiere, frappe…), oltre che dei termini provenienti da altre lingue (baguette, béchamel, mousse, omelette, sushi, sashimi, paella, burrito, muffin, brownie, pancake… - cfr. Frosini 2019). Una situazione che ha lasciato la sua eredità nei ricettari contemporanei.
Ricettari e ricette di oggi
La fruizione delle ricette (e dei ricettari) oggi ha cambiato registro, attraverso una nuova tipologia di diffusione e di accessibilità: grazie ai mezzi di comunicazione, la cultura gastronomica si è diffusa a tutti i livelli ed è diventato molto più semplice acquisire informazioni sui cibi che mangiamo e sulla loro preparazione, oltre che avere una conoscenza più approfondita della cucina nazionale e internazionale (vista la diffusione anche di molti ristoranti stranieri – Cfr. Di Candia 2009).
Per trovare informazioni sulla preparazione di piatti, quindi, sono disponibili diverse risorse: dai molti programmi televisivi (Masterchef, Cuochi e fiamme, Cortesie per gli ospiti, Quattro ristoranti… - si pensi, poi, che esiste anche un canale dedicato, Food network), ai siti specializzati, ai blog degli appassionati, per non parlare dei canali YouTube. Basta guardare tra le pagine del Cucchiaio d’Argento, di cui è presente una versione on-line (la prima edizione di questo ricettario è uscita a stampa nel 1950 e ne sono seguite altre nove), per trovare ricette quali la poke cake alle fragole (una torta con molti fori riempiti di panna e salsa alle fragole), i muffin ai mirtilli con il Bimby (i tipici dolcetti da colazione americani realizzati con il blasonato robot da cucina), la sheet cake alle pesche (la torta bassa delle feste texane, cotta in forno nella sheet pan, un teglia molto larga), le melanzane croccanti con panko e grana padano (fritte in questa panatura di origine giapponese). Su Giallo Zafferano, invece, si trova la ricetta per cucinare la namelaka (una crema giapponese molto simile alla più conosciuta mousse – per i nipponismi, cfr. Bussolino 2009), il porridge (la zuppa d’avena all’inglese per fare colazione) o il gazpacho andaluso (una sorta di zuppa fredda a base di peperoni, aceto e pomodoro).
Non mancano i ricettari a stampa, che hanno solitamente un discreto successo sul mercato librario poiché propongono il più delle volte un’idea di cucina semplice, veloce e alla portata di tutti (si ricordano, ad esempio, quelli di Benedetta Parodi), oltre ai libri pubblicati dagli chef in seguito alle loro apparizioni televisive (quali Cannavacciuolo, Barbieri, Cracco…).
La struttura delle ricette nei repertori contemporanei prende sicuramente un aspetto più metodico e schematico rispetto ai ricettari del passato: spesso una breve introduzione chiarisce qual è la storia del piatto e per quale occasione può essere servito, oltre a collocare la ricetta nell’esperienza personale dell’autore (nel caso dei libri). In alcuni siti si rintracciano informazioni sintetiche sulla preparazione attraverso un apposito menu a simboli: si specifica, quindi, il livello di difficoltà della ricetta (facile, medio, difficile), il tempo che occorre (distinguendo quello per la preparazione e quello per la cottura), a quante persone si riferiscono le dosi indicate, il costo e altre informazioni che possono essere utili all’esecutore; si fa riferimento, poi, alla caloricità del piatto (specificando le kcal) e agli eventuali allergeni (p. es., senza lattosio). Si elencano quindi gli ingredienti con le relative quantità e si forniscono i passaggi della preparazione. Il procedimento, il più delle volte, è espresso tramite proposizioni alla 2a persona plurale dell’imperativo (Per prima cosa tagliate le melanzane… Lasciatele riposare… Preparate la panatura…), oppure all’infinito presente (Lessare e sbucciare le patate, schiacciarle con lo schiacciapatate...). In alcuni casi nel corso della ricetta si fa riferimento a specifici strumenti (spesso anche elettrodomestici), quali la mandolina, il mestolo forato, il microonde, il mixer, le fruste, la grattugia dai fori larghi, il già citato schiacciapatate…
Sicuramente i testi delle ricette di oggi rispecchiano le nuove esigenze della società contemporanea, sono legate ai nuovi ritmi di vita, alle nuove forme di contatto culturale: tutti aspetti che la lingua riesce inevitabilmente a far propri, restando comunque in continuità con la tradizione.
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