Berta isla di Javier Marìas

   


Javier Marìas colloca la sua storia localizzandola tra Spagna e Inghilterra, tra Madrid e Oxford, tra la fine degli anni settanta-ottanta del secolo scorso; accompagna il passaggio dal Franchismo alla democrazia.

Eppure la grande opera narrativa dello scrittore madrileno, Berta Isla, appare al lettore quasi smaterializzata, senza spazio, senza tempo, ove si intersecano sapientemente i temi più elevati e graffianti dell'alta letteratura: l'inquietudine dell'animo umano, l'incertezza del vivere, la vita come profonda illusione.

Lo spionaggio, ricamo intrecciato della storia, travalica fondendosi presto con gli stati d'animo  dei due protagonisti, Berta e Tomàs.

L'allocazione narrativa del romanzo, lo spionaggio, è, invero, quel perpetuo indagare, ricercare, sfuggire a qualcosa e a sè stessi, è un continuo parallelismo tra dentro e fuori, è una complementare intersezione tra vita esteriore e vita interiore che lo rendono un racconto avvincente e appassionato.

Marìas scava instancabilmente, nel corso delle pagine, nel vissuto dei personaggi come nel nostro giungendo fino alle viscere piu profonde della caverna dell'animo umano, custode dei nostri più reconditi segreti.

Le lenti con cui l'autore esamina i sentimenti umani nel suo quindicesimo successo letterario sono indagatrici, appuntite frecce che sembrano scoccare a raffica e centrare il bersaglio.

Siamo noi  quei bersagli, di noi stessi.

Le nostre ansie, le nostre paure, la bellezza dell'io così come la sua delicata fragilità, ciò che siamo è ciò che siamo capaci di cercare dentro al cuore. 

E l'inquietudine profonda unita alla consapevolezza di una incapacità di convivenza ci inducono a quelle lenti, con cui sovente, filtriamo il mondo e il suo veloce incedere. Soffermandoci alla finestra ad osservare in silenzio, chè troppo arduo ci pare talvolta oltrepassare l'uscio e scendere in strada. 

Fuori, nudi, senza scudo, senza maschera. 

Attraverso la maschera di Tomàs e le lenti di Berta ci muoviamo tra le pagine del romanzo che ci racconta la storia della nostra stessa vita. 

"Vivevamo insieme, ma dandoci le spalle", è l'amara incisione di Berta, dipingendo il suo rapporto coniugale con Tomàs. Un amore imperfetto, un amore ovattato, cresciuto in modo embrionale e ossessivo ma mai divenuto pieno e netto. Mai completo, mai del tutto vero. Come molti amori a questo mondo.

Il non potere e il non volere comunicare è un sottilissimo velo di demarcazione, il non potere e il non volere denudare sè stesso all'altro. Pur se l'altro ci dorme accanto per un'intera vita.

Quell'andirivieni fisico ed emotivo cui sono sottoposti Berta e Tomàs, quelle interminabili assenze di lui, quella mancanza a cui, l'umano cuore, non s'abitua ma s'adatta, si rispecchiano in una simmetria perfetta con il dondolìo eterno del sentire di ciascuno e di tutti.

Javier Marìas ci conduce inconsapevolmente ad indagare nel nostro animo, ad una lunga riflessione che scavalchi le pagine del suo intenso libro, a scavare a mani nude nel nostro cuore.

 La profondità umana e dei sentimenti assurgono a veri protagonisti della storia: siamo schiavi, talora, d'una bolla d'immobilità emotiva che non lascia transitare l'aria. "Lui, Tomàs, era come l'aria, era aria morta".

L'ignoto ci rende ciechi a quei frammenti di luce da cui, se concediamo una fessura, potrebbe filtrare nitidamente ogni benevolo raggio d'amore, di fiducia, di speranza.

Ma, si sa, l'amore è imperfetto, esso si nutre d'illusione e allora, persino la persona prescelta per condividere un amore lungo una vita, viene vorticosamente risucchiata da quell'ingnoto, inchiodata a quel muro petroso eretto senza volerlo e, perciò stesso, ancor più arduo da oltrepassare. 

Ecco l'universo sommerso, quello inconfessabile, che sopraggiunge a sostenere e sorreggere tutto il peso del mondo, che scivola incuneandosi nella coscienza di ognuno.

Quelle luci e quelle ombre amorose, che s'accendono e si spengono con frenetica intermittenza nello sguardo di Berta, sono il dipinto fedele e imperituro delle emozioni e delle pulsioni d'ogni animo umano.

Illusi e disillusi, generosi e avari nel concederci e negarci, speranzosi e rassegnati. 

"E' il destino di quasi tutto ciò che finisce: che per il solo fatto di essere finito sembra un sogno. Quello che non cè più è come cenere sulla manica."

E' una metamorfosi necessaria, imprescindibile, un calice da centellinare senza fretta, gustandone ogni aroma, cangiante e soffuso, per calcare i passi di questa misteriosa meravigliosa avventura che è il batter d'esistenza.

Eva Di Betta 




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