Bonjour Casimiro


La dimora dei Calanovella è un luogo dove vita e morte sconfinano i confini di spazio e di tempo.

Tutto a villa Piccolo è vivo, sia pure in un soave silenzio, sia pure dall’osservatorio del silenzio che pare aleggiare tutt’intorno a una cornice surreale, evanescente.

Pregio di questo prezioso libro, nell’incedere sapiente della narrazione, è lo scavalcamento della dicotomia tra al di là e al di qua.

La storia della nobile famiglia del barone palermitano Casimiro Piccolo, acquarellista e fotografo, che scelse di rallentare la corsa d’esistenza frenetica cittadina per dileguarsi da moderni frastuoni, nella propria ritirata villa di famiglia a Capo d’Orlando, scorre a fianco al vero leitmotiv del racconto: lo studio di se stessi, delle manifestazioni del proprio pensiero, della propria coscienza, di ogni slancio e desiderio del cuore, che riesce a condurre l’uomo ad osservare realmente il proprio vero io ed a sublimarsi.

Bonjour Casimiro, attraverso lo snodarsi della trama e l’intersezione dei personaggi che popolano la villa, è una esortazione a restar sempre desti, incuranti se intorno gli altri sembrano assopiti. Soltanto chi rimane vigile potrà sovrastare le leggi spazio-temporali statiche e perpetue e conquistare la percezione del “popolo-popolo”, di quell’intermezzo favoloso che sovrappone sogno e realtà.

Dal libro di Samonà paiono animarsi folletti, gnomi, ninfe e misteriosi esseri che si affiancano ad una categoria dello spirito apparentemente estinta e che si sostanzia, invero, nell’animo di chi sa porsi in ascolto di sé per poi, con rinnovati occhi, allungare lo sguardo all’universo in toto, con il suo folle, tumultuoso divenire.

Il viaggio del protagonista Giulio diventa d’improvviso ammaliante, incorporeo, disancorato dallo scorrere d’umano tempo su treno in corsa della vita. Chè i binari, tortuosi, lineari, curvanti, noi stessi li disegniamo, man mano che tutto scorre.

E’ pulsante, nell’autore, il bisogno di denudarsi da nomi e convenzioni, attraverso i personaggi della sua stessa storia, alla conquista d’una elevazione dell’io che, ondeggiando in armoniosa danza con ammalianti ninfe, sovrasta la base stessa d’umana fossile conoscenza.

Fino al desio d’approdo che, invero, non c’è.

Poiché, come scrive Samonà, l’essenza della vita è dovunque e in nessun luogo, ed è solo vivendo ogni cosa, vivendo le domande ora che, un giorno, ci sarà dato d’avere ogni risposta.

Per quel “tempio della libertà”, essenziale appare dunque scindersi dalla statica identificazione di sé ancorati all’universo reale.  

Perciò gli incontri notturni del barone Casimiro Piccolo con gli amici del bosco sono una preziosa chiave di lettura per ricordare a noi stessi che a fianco al nostro io, esiste un lui più vero,  più profondo, per mezzo del quale affrancarsi dalla identificazione convenzionale e, svincolati da legami e schemi ovattati, riuscire a raggiungere la vetta della libertà morale.

Gli acquerelli che ad oggi si possono ammirare presso la casa-museo di villa Piccolo, a Capo d’orlando, ritraggono uno di quei numerosi mondi creati da un assoluto impalpabile ed etereo, generatore di quei raggi di creazione calorosi e consiglieri, fino a farci trovare il nostro posto al mondo.

Casimiro piccolo, nella sua proprietà, nel suo peregrinare nel buio della notte tra boschi e campagne, nei suoi incontri notturni con ninfe, silfi, gnomi, elfi e folletti, aveva catturato, per mezzo dell’anima mundi, le loro energie spirituali per trovare, 

così, le proprie.

Senza timore di smascherare se stesso, liberandosi dalla identificazione di sé, al fine di scoprire sé stesso e le radici più profonde.

La sovrapposizione del favoloso mondo onirico tanto caro a Samonà e l’immanente realtà resta così l’unica via da percorrere per vivere in questo tempo, per non essere risucchiato da vorticoso affanno del vivere e riappropriarsi di quel raggio radioso conciliatore tra sé e il creato.

Non bisogna credere soltanto a ciò che si vede, conclude l’autore, la realtà è sotto agli occhi, ma il più delle volte volgiamo altrove lo sguardo, preferendo non vedere credendola una faticosa ardua conquista.

Eva Di Betta




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