Razza: “Tra sanità pubblica e privata e sviluppo della telemedicina”


Ruggero Razza, classe 1980, ha studiato presso la Scuola militare Nunziatella di Napoli per poi conseguire la laurea all’Università degli Studi di Catania, diventando avvocato penalista, rappresentando enti pubblici e aziende. È stato assessore alla Cultura e vice presidente della Provincia regionale di Catania. È autore di pubblicazioni a carattere scientifico e saggistico. Dal 29 novembre 2017 al 30 marzo 2021 e dal 3 giugno a oggi ha ricoperto il ruolo di assessore alla Salute del Governo Musumeci.

Qual è la posizione della Sicilia nei confronti dello Stato sulla Sanità?
“Abbiamo una compartecipazione che ci costa diverse centinaia di milioni di euro in meno, ma oggi stiamo concludendo una trattativa con lo Stato, poiché siamo l’unica Regione a statuto speciale che non finanzia al 100% la sanità. Le altre Regioni hanno concluso, invece, l’accordo di finanza pubblica, per cui hanno avuto riconosciuto al 100% dallo Stato una serie di tasse ee d’imposizioni fiscali. La sanità, così, è finanziata da un maggior gettito derivante dal principio che tutto ciò che è prodotto e realizzato nella regione, diventa suo gettito fiscale, non più compartecipato dallo Stato. I circa nove miliardi e sei milioni di euro attuali, così, sarebbero messi dalla regione, mentre lo Stato riconoscerebbe come reso fiscale ciò che prima era considerato come investimento. Così la Regione ci guadagnerebbe, perché introiterebbe tutte le tasse, mentre lo Stato deve, comunque, garantire i livelli essenziali di prestazione riconosciuti alla Sicilia”.

Drg (Diagnosis related group, Raggruppamento omogeneo di diagnosi) è l’unico strumento che assicura i livelli essenziali di assistenza? Esiste un tetto prefissato all’assistenza fatta da un ente privato e da chi è stabilito?
“No, il Drg è un computo ospedaliero, ma ne costituisce una parte, mentre altri strumenti sono tutte le prestazioni territoriali, gli oneri a tariffa e altri strumenti complessi. Il tetto esiste ed è determinato dal piano di rientro, ma non si applica solo alla spesa di acquisto verso soggetti privati, ma anche all’acquisto del personale nel pubblico. Tuttavia, tutto il bilancio del Fondo sanitario nazionale e regionale è costruito su più tetti che individuano il fabbisogno di ogni singola voce all’interno del bilancio. Abbiamo stabilito in regione un principio, che la contrapposizione tra pubblico e privato è sbagliata, perché il diritto alla salute è un diritto della persona. Perciò, è sempre un diritto pubblico chiunque lo eroghi, che sia un soggetto pubblico o uno privato. Abbiamo fatto, così, degli investimenti importanti che hanno permesso al soggetto privato di essere più concorrenziale sul mercato, mentre al soggetto pubblico abbiamo permesso di recuperare il divario sul privato. Questo processo è necessario nell’ambito delle reti come quella oncologica, dove si punta al recupero della mobilità. Per la prima volta, nel nostro piano operativo approvato insieme al Ministero, sono previsti dei finanziamenti di milioni di euro per il privato, finalizzati al recupero di una parte delle prestazioni che, oggi, vanno a vantaggio di altri enti privati di altre regioni. C’è, quindi la volontà a investire, ma per l’alta complessità e tesa al recupero di una parte della mobilità2.

In questo quadro, che cosa si sa facendo per la telemedicina?
“È uno dei punti fondamentali del Pnrr e la Sicilia ha già realizzato alcuni investimenti in questo settore. Tuttavia, non esiste ancora una rete regionale di telemedicina, ma esistono strumenti a beneficio delle reti di emergenza. Questo processo si va sistematizzando all’interno della rete del territorio come previsto dalla missione sei del Pnrr. Dentro questa riorganizzazione, c’è spazio per mettere una connessione tra l’ospedale, la rete del territorio e la casa del paziente per portare i servizi in quest’ultimo”.

La sfida della mobilità passiva

La medicina di base e l’assistenza domiciliare possono camminare insieme?
“L’Adi (Assistenza domiciliare integrata) è gestita dal Distretto socio-sanitario, mentre il medico di famiglia è legato alla persona. Il sistema di territorializzazione delle cure o presso i Distretti o presso il domicilio è gestito dalle Asp. Oggi, l’Adi vale 140 milioni di euro in Sicilia, ma varrà oltre i 200 milioni di euro nella progressione di crescita con l’accreditamento. Oggi, l’assistenza domiciliare integrata impiega più di 2 mila professionisti che si occupano dei pazienti, a seconda della diversa complessità di cura”.

C’è in atto una spinta per coinvolgere i medici di famiglia o sono le Asp che possono accordarsi con loro?
“Alcune Asp collaborano con i medici di famiglia, ma il rapporto con loro è regolato con un accordo collettivo nazionale, mentre il loro è un rapporto diretto col paziente. Oggi, il Pnrr sostiene che questi medici devono diventare i gestori attraverso una organizzazione tra loro delle case della salute. Tuttavia, ci sarebbero delle difficoltà di natura contrattuale, poiché, se la casa della salute deve essere gestita dalle Asp e dai distretti, avere dei liberi professionisti non sottoposti a vincolo contrattuale renderebbe difficile il funzionamento della collaborazione. Comunque, quest’operazione partirà entro marzo 2022”.

La Sicilia come può recuperare 200 milioni di mobilità passiva?
“Tutte le regioni italiane hanno una mobilità passiva che si orienta tra il 4 e il 7%. In Sicilia, la mobilità passiva si aggira sul 9% delle prestazioni ospedaliere, ma l’altro 91% resta nell’Isola. Poi, per il meccanismo di computo, conta la residenza del cittadino, non il domicilio, per cui un cittadino siciliano che abita fuori dalla Regione, ma che conserva la residenza, quando va in cura, le spese sono pagate dalla Sicilia. La sfida non è solo il recupero degli utenti ma quanti la regione ne può attrarre da altre regioni italiane o da altri Stati europei ed extraeuropei. Questo tipo di mobilità porta altro sviluppo turistico, perché al potenziale paziente si accompagnano i familiari”.

In un anno sono stati attivati cinquecento posti letto per rafforzare la rete siciliana

Quali risultati avete ottenuto sull’edilizia sanitaria in questi mesi?
“In un anno, abbiamo realizzato cinquecento posti letto per implementare la rete, abbiamo riaperto l’Ospedale San Marco di Catania, finanziato e aperto il nuovo ospedale di Ragusa, abbiamo riattivato l’Imi dopo 20 anni, nonché abbiamo completato l’area emergenza a Palermo. L’assessorato sta spendendo un miliardo di euro soltanto di edilizia sanitaria. L’Ismett 2 da solo vale 300 milioni di euro. Si tratta del più vasto piano di riorganizzazione degli ultimi trent’anni che sta costando poco meno di 2 miliardi di euro”.

Il personale medico in pensione, è stato sostituito da nuove assunzioni?
“Finora, tra stabilizzazioni e nuove assunzioni, sono state reclutate 12 mila persone in quattro anni. Il bilanciamento è in attivo, seppur non sia ancora sufficiente, perché le scuole di specializzazione sono state tenute al di sotto delle loro necessità negli ultimi dieci anni”.


Finanziate anche borse per la specializzazione?
“Insieme all’assessore alla Formazione Roberto Lagalla, mettiamo delle borse per la specializzazione. Oggi, lo Stato ci consente di avere il 100 per cento di laureati specialisti, ma occorreranno sei anni per recuperare i vuoti creatisi nel frattempo, tenuto conto che il deficit di personale medico in Italia ammonta a 50 mila unità. La situazione in Sicilia, quantomeno, non è peggiorata, perché esiste un deficit strutturale. Tuttavia, non si può dimenticare che i vuoti di personale riguardano anche infermieri e altri professionisti, per cui la deficienza di personale è di diverse migliaia”.

Un dialogo già avviato per riattivare le Terme

Qual è l’importanza del comparto sanitario nell’ambito del Pil regionale?
“L’importanza è notevole, perché comprende il 13% dell’intero Pil regionale. Ci sono aree interne che si basano esclusivamente sulla sanità pubblica, per cui supponiamo che le potenzialità permettano di guadagnare altri due punti di Pil. Esiste il turismo termale che offre notevoli potenzialità strategiche. A questo proposito, abbiamo inserito i due centri termali di Acireale e di Sciacca nel circuito investimenti dell’Inail, quando non erano neanche inclusi nella programmazione Stato-regioni. Un altro settore è la riabilitazione, eppure i turisti preferiscono altri poli turistici nell’ambito sanitario, tagliando fuori l’Italia”.

Come si possono riattivare questi due poli termali?


“Insieme a Federterme, stiamo lavorando per riattivarli e abbiamo recuperato tutte le posizioni debitorie che era la condizione per poterle porre sul mercato, spendendo sette milioni di euro solo per Acireale, ma i privati non partecipano come dimostra il caso di Sciacca dove il bando è andato deserto. Ciò dipende dalle dimensioni dei luoghi che richiedono notevoli finanziamenti e non è semplice coinvolgere gli investitori privati in assenza d’incentivi”.

Che cosa può dirci sul Polo sanitario di Carini?
“Il modello Carini, composto dall’Ismett 2 e dal Ri.Med, è la realizzazione di una realtà di livello globale che impiegherà più di 3.500 persone e che si proietta su tutto il Mediterraneo. Nel caso del Ri.Med, abbiamo già il progetto di Renzo Piano che si avvierà nel 2022.



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