Il Labirinto delle perdute di Ester Rizzo
Plurimi sono i volti di donne nel corso dei secoli, da allora ad ora, sbiaditi nel mondo della trasparenza, ombre fluttuanti, che, evanescenti figure, anelano un riscatto, dal loro ombroso oblìo.
Il prezioso volume di Ester Rizzo ha questo pregio, la redenzione di anime femminili erranti e la loro restituzione all’universo immanente della conoscenza.
L’autrice del “Labirinto delle perdute”, con la sensibilità del suo cuore declinato al femminile, ha analiticamente sezionato e tracciato la via per rendere ai lettori le storie di numerose donne, da un passato lontano ai giorni nostri, che sono state volontariamente posate e lasciate scivolare in un dimenticatoio senza ritorno.
Un saggio essenziale, emozionale, ricco al tempo stesso di nomi, date, visi, occhi e azioni del genere umano rosa.
Il labirinto è un intreccio,una sfida, è un perdersi per poi ritrovarsi. Vi sono imprigionate vittime di oblìo, donne punite incolpevolmente con la damnatio memoriae, vittime di violenza, vittime di onor perduto, vittime di pregiudizio.
Una segnatura, un marchio a fuoco, per far sì che riemergano dall’oceano di silenzio ove sono immerse, per segnare una strada battuta che sia utile a recuperare altri volti smarriti, ancora tanti e ignoti, altre storie, altri nomi.
Ridare voce, colore al loro tempo è conferire dignità al nostro, a tutti coloro che quotidianamente affrontano con coscienza il vivere.
Sono donne che, con coraggio e determinazione, si batterono per i loro ideali, contro ignoranza, oscurantismo, pregiudizi e guerra.
Inascoltate, osteggiate, umiliate, arrestate, perché, come scrive Matilde Serao, scrittrice degli umili e dei dimenticati, per cui reclama dignità e giustizia, “Dio vede, ma il mondo è profondamente cieco”.
Donne risucchiate dal vortice del silenzio, condannate perchè “sparigliavano le carte”, perché il loro coraggio incuteva paura.
Il ricordo è solo un piccolo riconoscimento postumo, per sanare il cuore maltrattato, tumefatto, di figure femminili, rottami umani feriti, abusati, violati in nome d’una sommaria giustizia ingannatrice, mutilate, stuprate dalla guerra, da mani impietose e sanguinarie.
Le medaglie al valore cucite al petto delle leonesse della nostra resistenza brillano al sole della liberazione che loro, dalle vallate ove sono nate, e avevano lottato, non videro sorgere.
Tale luce splende oggi più fulgida, nel rispetto del loro sacrificio, del loro credo, del loro sangue innocente, dei loro volti, delicati tulipani nel deserto che “muoiono prima di schiudersi, e le onde della brezza del deserto soffiano via i petali”.
Forti e delicati i versi di Muska, intensa poetessa afghana, che pelle su pelle ci trasmette l’urlo di dolore del suo popolo femminile, emblema di sofferenza e di quella cruda violenza di cui, purtroppo ancora nelle moderne albe, è capace il mondo.
Celato da burqa e chadri svetta acceso lo sguardo lucente di Zoya e Latifa, e delle donne afghane ingabbiate da atavici, mortificanti divieti.
In un claustrofobico sdegno la loro condanna è la nostra. La frusta dei talebani, l’oppressione dei diritti, la polvere negli occhi, spada insanguinata nel ventre, sono un esasperato slancio reazionario perché la vita non è vita se è sottomissione, “nella schiavitù, scrive Latifa, possono piovere gocce d’oro, al cielo dico allora, non ho bisogno di questa pioggia.”
Quel buco nero d’una moralità quasi ossessiva, quella coltre di muta vergogna per il senso del loro vivere, quelle donne perdute e ritrovate dalla penna e dal cuore di Ester Rizzo, ci sussurrano, dal loro al di là, una verità vera, nuda, netta, trasversale ad inceder d’esistenza: le donne, con la caparbietà e leggiadria a un soffio del vivere, ci trasmettono un insegnamento che ciascuno e tutti dovremmo scolpire in petto, la vera forza risiede nel credere in ciò per cui si opera e, affrontando giorno per giorno ogni ostacolo, si è capaci di fare sempre più e sempre meglio.
Credere e poi credere nei propri ideali, desiderare e poi desiderare ardentemente, per una piena realizzazione di sé, lottare e poi ancora lottare per inseguire i propri sogni. Agire e poi ancora agire orientandosi al bene.
Per un rispetto morale di ciò che è stato, per cui siamo oggi ciò che siamo stati, nel vortice d’una profonda rivoluzione senz’armi, che sia uno slancio culturale, sociale, della persona. In armonia con la natura, le sue leggi ed e i suoi elementi, con cui ci racconta Ester, tra le sue righe, venivano abissate con acqua e fuoco le donne tacciate di stregoneria e connivenza con il maligno, le vittime di pregiudizio, perché sagge, guaritrici dello spirito e del corpo, innovatrici nel pensiero e nell’azione.
Ad esse, morte iniquamente, per esse, per preservare la loro memoria, per il domani, sia, la nostra, una battaglia bianca, di pace, sia un binario in corsa, carico di giovani animi, simbolo del futuro innocente, puro del nostro bel paese.
Eva Di Betta
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