Kitchen di Banana Yoshimoto


Kitchen ha principio con una ragazza accovacciata sul glaciale pavimento d'una vetusta cucina; come nenia, per quel feto smarrito e cresciuto, il  perpetuo fruscìo d'un vecchio frigo.

Mikage è rimasta sola al mondo. Il suo mondo è svanito con l'andaresene della nonna, unico legame di sangue vivido della sua giovane esistenza. Aleggiante di cupa solitudine, il romanzo di Banana Yoshimoto è un tuffo rapido, repentino, nel sommerso universo d'un solitario vivere.

Il senso sordo di vibrante vertigine corre veloce lungo la sua schiena, con la netta consapevolezza di non avere accanto più nessuno, perciò "potevo andare in qualunque posto, fare qualsiasi cosa", scive Mikage.

Morta sua nonna, ultima consanguinea, la casa vissuta insieme moriva anch'essa. Restava pulsante solo la cucina, rifugio dell'anima, sommamente amato dalla protagonista, che sperimenta tra arnesi e stoviglie il suo essere, profonda compagna  delle sue solitarie, inquiete notti.

Fino ad essere accolta, scrostata dalle tenebre del cosmo, da Yuichi e dalla sua famiglia, padre e madre simbioticamente uniti in un solo corpo, Eriko, vulcanica essenza, soave conforto, che incanta l'ovattato torpore e il vuoto incolmabile ove Mikage pare scivolata.

Yuichi diviene per lei l'amico insostituibile, la persona più vicina, tuttavia non si tengono per mano, poichè "la nostra natura ci spinge a reggerci in piedi da soli, per quanto disperati possiamo essere".

Cambiare casa rappresenta, per lei, cambiare pelle, tornare docilmente a respirare, dopo asfissiante angosciosa apnea, sentire palpitare il cuore in petto dopo lunga narcosi.

Quel  "mai più", riecheggiante nella sua testa al chiudersi per sempre dietro di sè della porta della sua vecchia dimora  si tramutano in un forte desiderio, in accorata preghiera d'aiuto a vivere, una sconfinata voglia di vivere perchè, dice Mikage, " chi nella vita non conosce almeno una volta la disperazione e  non capisce quali cose valgano veramente diventa adulto senza avere mai capito che cosa sia veramente la gioia."

Costante, silente presenza nell'esistenza della giovane la cucina, ambiente a lei caro e familiare, portatore di calore, di sogni, che saranno molteplici, ragiona Mikage, nel corso della sua vita, al pari dell'esperienze stesse del vivere, costellato di salite e discese, d'inciampare lungo il sentiero per ritrovare poi lo slancio per rialzarsi, per riprendere il cammino senza lasciarsi andare, senza perdersi. "A piegarci non sono le circostanze o una forza esterna, la sconfitta ci colpisce dall'interno, dal profondo dell'animo".

Kitchen è un misto d'elementi forti e tempestosi, la solitudine, la morte, l'elaborazione del lutto, il calore familiare; tematiche affrontate dell'autrice con piglio poetico, ad innescare scintille che infiammano il lettore in un andirivieni emozionale terapeutico per il sentire di ciascuno, in quanto "le persone che vogliono farcela da sole dovrebbero prima di tutto curare qualcosa che cresce. Un bambino, una pianta, che so. Facendolo si capiscono i propri limiti".

E' un punto di partenza, non sempre c'è un filo logico, non c'è una razionale giustificazione alla morte quanto alla vita, per chi va via, per chi resta, nulla v'è di scontato, è un viaggio misterioso, è indovinare il sentimento, lasciandosi trasportare da esso, fino a capire esattamente quale sia la finestra della camera d'albergo dove si trova Yuichi, per puro istinto. 

E' un'altalena, ove il mondo immanente si scontra con il surreale, con una delicatezza ammaliante e impattante, in una voragine emotiva in cui, tra le pagine di Banana, veniamo risucchiati e, "quando si pensa di non farcela, conosciamo la bellezza della luna lassù".

La dolce poesia dell'animo di Mikage rende questo testo un lucente faro, illumina il dolore di due anime sole che riescono a completarsi vicendevolmente respirandosi accanto. 

I sapori, gli odori che si propagano in cucina  penetrano, sinuoso  balsamo nel cuore solitario e ramingo della protagonista, che combatte con se' stessa per non pensare alle persone perdute, allungando in avanti occhi e sentimento, perchè la strada è sempre decisa, non però in senso fatalistico, sono il nostro continuo respirare, gli sguardi, i giorni che si succedono a deciderla naturalmente, "e così a qualcuno può capitare di trovarsi in pieno inverno dentro una pozzanghera su un tetto in un paese sconosciuto a guardare il cielo notturno" meravigliandosi ancora per la somma bellezza della luna, tacita lucente complice del segreto del nostro vivere.

Eva Di Betta 



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