"Un uomo anziano in jabellah..."







Un villaggio a pochi chilometri dal Sahara Occidentale, in Marocco. All'imbrunire avevo lasciato gli amici che discutevano seduti nell'unico caffè con alcuni giovani berberi. Discorsi sulle cose ultime, Dio, il senso della vita, il confine fra la realtà e l'illusione, come spesso accadeva in Marocco. Le strade in terra battuta erano vuote, rischiarate a lunghi intervalli da qualche lampione acceso,  riusciva difficile immaginare che quelle case, quelle vie potessero accogliere  il chiasso,  il trambusto, i cromatismi violenti, la luce accecante  del giorno. Nessun segno di vita, nessuna traccia, a parte un assurdo cartello con una freccia e sopra scritto 'Musee'. L'accento era forse stato cancellato o non era mai stato scritto. Guardavo, ma  non c'era ancora la foto, e comunque non scappava. Ho aspettato qualche minuto in quel silenzio tattile, di aria calda e secca. Poi è apparso un uomo anziano in jabellah, che ormai  si allontava verso il buio. Il vecchio  si rimpiccioliva, stava per scomparire. La foto c'era, ma mancava ancora qualcosa, qualcuno, qualche secondo. Qualche secondo prima che l'anziano in lontananza venisse inghiottito dal buio,  prededuto dallo scalpiccio della sua corsa, un  bambino  ha fatto irruzione all'angolo della strada, nell'immagine  già riquadrata nel mirino,  proprio sotto quell'  insegna assurda. 
Adesso la foto c'era.

Tano Siracusa

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