Quale welfare per i professionisti


In questi mesi di pandemia Covid-19 abbiamo potuto vedere come il legislatore abbia scoperto i professionisti e i lavoratori autonomi prevedendo nei loro confronti diverse misure di supporto e di aiuto.

Un welfare tradizionalmente occupazionale e incentrato sul lavoratore subordinato è stato esteso, durante l’emergenza, ai liberi professionisti e ai lavori autonomi. 

Si pensi al reddito di ultima istanza previsto dal DL 18/2020, all’esonero parziale del pagamento dei contributi per i professionisti e gli iscritti alla gestione separata nel 2021 o l’estensione di ulteriori tre mesi dell’indennità di maternità di cui alla legge 234/2021. Legge che disciplina la sospensione della decorrenza di termini relativi ad adempimenti tributari a carico del libero professionista in caso di malattia o in casi di infortunio. 

Misure che fanno il paio con quelle erogate autonomamente dalle singole casse, in base ai propri regolamenti, e a quelle della bilateralità del sistema Confprofessioni, riconducibili ad Ebipro l’ente bilaterale per gli studi professionali. Un Ente che agevola i professionisti tramite il rimborso delle spese che gravano sulla gestione dello studio, quali i corsi di aggiornamento sulla salute e la sicurezza, la formazione per la privacy e antiriciclaggio o per mezzo di incentivi all’occupazione stabile di collaboratori assunti con specifiche tipologie contrattuali flessibili. 

Strumento altresì apprezzato dai dipendenti degli studi che ritengono fondamentale, nell’esercizio della propria attività, il poter godere di una copertura economica sia in ambito sanitario che nella sfera familiare (rimborsi dei libri scolastici o delle tasse universitarie dei propri figli). 

Un ‘offerta che fa ben sperare e che è meritevole di una maggiore conoscibilità e diffusione. 

Appare evidente come occorra, però, prendersi cura del lavoratore professionista durante l’intero arco della vita, attenuando gli effetti negativi di fatti ed eventi che possono intervenire compromettendo l’attività lavorativa.

Occorre in generale, anche con riferimento alle professioni, mettere in campo un nuovo welfare, secondo un approccio olistico, che supporti l’attività lavorativa con misure specifiche. Prevedendo risorse per lo start up, l’aggiornamento continuo, il passaggio generazionale, la digitalizzazione, riduzione dei costi con misure di assistenza fiscale o ancora sull’assicurazione professionale. Tutti strumenti volti a gestire gli imprevisti e gli oneri connessi all’attività professionale per evitare che questi pregiudichino la continuità reddituale e quindi contributiva, con effetti importanti sull’adeguatezza degli assegni pensionistici. 

Non possiamo lasciare soli i professionisti di fronte ai rischi del lavoro autonomo. Rischi lavorativi e biometrici, diremmo in termini assicurativi.

La vera sfida per il welfare dei professionisti è quella lavorativa. 

Una misura di “welfare to work” andrebbe pensata già nella fase di start up dell’attività professionale. La mancata informazione circa gli oneri connessi all’attività professionale e agli obblighi normativi di riferimento (previdenziali, assicurativi, fiscali), negli ultimi anni crescenti, ha reso ancora più vulnerabili i giovani professionisti, portando a scelte di abbandono della professione e ad una minore attrattività della stessa. Occorre per questo pensare ad un intervento che aiuti la transizione dall’università alla professione e al lavoro autonomo, che non può limitarsi solo a forme di credito agevolato, comunque sporadiche, ma a percorsi formativi sulle competenze trasversali necessarie per mettersi in proprio. Pensiamo alle competenze in materia di fisco, diritto del lavoro, budget, responsabilità professionale, privacy, welfare, gestione del personale, comunicazione, marketing e soprattutto quelle digitali. 

Le nuove tecnologie e i mutamenti dei mercati rinnoveranno continuamente i lavori, interessando soprattutto il settore dei servizi. Anche di quelli formalmente protetti. La sfida è l’e-service con il machine learning, l’intelligenza artificiale e la blockchain, che hanno come effetto quello di disintermediare, cioè eliminare mediatori. 

Inoltre, non ci dimentichiamo che siamo di fronte a delle generazioni che preferiscono il lavoro agile, pronte a cambiare attività senza timore, (“great reshuffle”) o a dimettersi, “great resignation”, e che pretendono una migliore conciliazione vita privata lavoro, anche sacrificando parte dei guadagni (“four day working week”). 

Una sfida, quindi, non solo per i singoli, ma per i sistemi formativi e per quelli previdenziali, che dovranno accompagnare questi cambiamenti e non ostacolarli mantenendo in vita le vecchie rigidità del secolo scorso.


Alessandro Verbaro

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