Lavoro agile. La vera sfida adesso è trasformare il lavoro da remoto in smart
Adesso nessuno penserà, forse, che lo smart working sia lavorare da casa o da remoto, pronti e via? E che sia un formidabile strumento per mascherare la disattenzione, soprattutto verso bambini e donne, dei decreti che si sono via via succeduti durante l' emergenza sanitaria dovuta al Covid-19? La sperimentazione del telelavoro mille volte tentata, in mille modi e con esiti diversi, questa volta ha buona probabilità di lasciare il segno.
Anche in Italia se è vero, come emerge dalla ricerca 2020 dell' osservatorio Hr innovation practice del Politecnico di Milano, che ben il 64% delle organizzazioni dice di voler implementare o introdurre lo smart working. Però attenzione a non confondere lo smart working con il family care e con il welfare tout court. «Non deve essere così - dice il professor Mariano Corso, responsabile scientifico dell' osservatorio hr innovation practice del Politecnico di Milano -.
Lo smart working non è un diritto ma è una nuova organizzazione del lavoro che prevede un contratto. Oggi le aziende si trovano in una situazione emergenziale, l' obiettivo per tutta la fase uno è stato garantire la continuità del lavoro. Il lavoro da remoto, che è cosa ben diversa dallo smart working, lo ha consentito. Per la fase due, come prevede il nuovo decreto della presidenza del consiglio dei ministri, quello che viene impropriamente definito smart working viene ancora considerato una via da privilegiare in tutti i casi in cui è possibile. Ma è chiaro che serviranno degli aggiustamenti».
Da 500mila a 8 milioni Per le direzioni HR il Covid 19 ha avuto l' effetto di uno tsunami che ha sconvolto le priorità delle organizzazioni e ha costretto a concentrare in pochi giorni cambiamenti che, seppur previsti, sarebbero stati attuati nell' arco di diversi anni. E comunque avrebbero avuto una gradualità nei numeri che non c' è stata. Si pensi solo che prima dell' emergenza Covid, in Italia, c' erano circa 500mila smart worker, mentre nelle settimane di lockdown, uno studio della Cgil e della Fondazione Di Vittorio ha stimato che «siano state più di 8 milioni» le persone che hanno lavorato da casa o da remoto. Sfide dei modelli organizzativi Il 2020, per le direzioni HR, porterà a riorganizzazioni qualitative, ma anche quantitative su cui in molti stanno già lavorando: a settembre si comincerà a vedere l' impatto occupazionale di questa crisi sanitaria.
L' assoluta priorità in questi mesi, come spiega Corso, «è diventata abilitare modelli di lavoro a distanza, aiutare le persone a sviluppare competenze digitali e a utilizzare gli strumenti. La fase uno è stato come fare un corso accelerato di innovazione organizzativa con 5 anni in uno, un' occasione irripetibile in cui però le aziende, soprattutto quelle tradizionali, hanno dovuto rincorrere le esigenze di strumenti e competenze delle loro persone». Adesso, se guardiamo al 2020 nel suo complesso - e quindi anche alla fase due e tre -, il 64% delle 198 aziende coinvolte nella ricerca dell' osservatorio hr innovation practice del Politecnico di Milano, dice che la sfida più rilevante sarà l' introduzione e il potenziamento dello smart working.
Segue la gestione di riorganizzazioni aziendali e/o dimensionamento della forza lavoro (43%). Le competenze digitali Un' altra priorità è lo sviluppo di cultura e competenze digitali: a dirlo è quasi un' azienda su due (45%). Alle organizzazioni è stato richiesto di ripensare a processi e attività in chiave digitale per poterli portare avanti in questo periodo di emergenza sanitaria, ma a differenza degli scorsi anni sono meno prioritarie alcune iniziative che solitamente accompagnano l' innovazione digitale, come la riqualificazione della forza lavoro di cui parla un' azienda su quattro e la ricerca e sviluppo di nuovi ruoli e competenze di cui parla un' azienda su 10.
La resilienza delle società agili Limitatamente a questo tema, lo tsunami del Covid-19 ha anche degli aspetti positivi perché ha portato «la consapevolezza di dover investire in nuovi modi di lavorare anche nelle organizzazioni che in passato erano più restie a farlo. Il lascito nelle organizzazioni sarà strutturale - osserva Corso -. La remotizzazione del lavoro ormai riguarda buona parte della filiera. Hanno cambiato modo di lavorare tanto le grandi aziende quanto i loro clienti e quindi difficilmente sarà possibile tornare indietro». A confermarlo sono anche i dati della ricerca del Politecnico. «I modelli organizzativi agili, favorendo la resilienza, garantiscono una migliore capacità di rispondere ai cambiamenti, sia repentini come l' emergenza dovuta al Covid-19, sia più graduali come la trasformazione digitale - interpreta Corso -. Allo stesso tempo tali modelli, promuovendo ambienti più coinvolgenti e partecipativi, sono in grado di valorizzare le persone e i loro talenti favorendone l' engagement, la learning agility e infine le loro performance».
La ricerca, confrontando le organizzazioni agili e quelle tradizionali, fa emergere che le organizzazioni agili hanno dimostrato un livello di prontezza nella gestione dell' emergenza più alto: su una scala da 1 a 10 crescente in termini di prontezza il valore medio è 7,7 rispetto a 6,8. Date le loro peculiarità hanno avuto meno la necessità di implementare nuovi strumenti digitali per adeguare le pratiche HR alle nuove modalità di lavoro. L' innesto tecnologico è stato più forte nelle attività amministrative, nella pianificazione della forza lavoro e nella gestione dei turni. Per le attività di formazione, comunicazione interna, onboarding dei neoassunti e ricerca e sviluppo, entrambe le tipologie di organizzazioni hanno dovuto introdurre nuovi strumenti digitali per garantire la continuità di tali processi. Anche per questo il 95% delle aziende, dice la ricerca del Politecnico, ha dovuto introdurre nuovi strumenti digitali a supporto di almeno un processo hr.
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